giovedì 27 settembre 2012

47. Il party del secolo

E finalmente fu sabato.
La preparazione pratica della festa toccò completamente a me.
Fui io a sistemare casa.
Fui io a fare la spesa.
Fui io a trascinarmi millemilioni di lattine e bottiglie di birra per tre piani di scale.
Non che voglia recriminare o lanciare sterili accuse adesso, a distanza di tanti anni, ma comunque fui io a farmi il mazzo. Ecco.

Col calar delle tenebre cominciarono ad arrivare i miei amici.
Prima fra tutti fu Elisa con cui condividevo amicizia e ottimismo:
"E se non dovesse venire nessuno?"
"Sarebbe una catastrofe!"
"Io non avrei più il coraggio di uscire di casa"
"Io tornerei di corsa in Italia a nascondermi"
"Io cambierei nome"
"Io entrerei nella legione straniera"

Poi, per fortuna, giunse anche Sissi.
"E se non dovesse venire nessuno?"
"Prendiamo le birre dal frigo e andiamo a divertirci in giro!"
Che sempre sia benedetta tanta inossidabile praticità!

Ben arrivò direttamente da un terzo tempo di rugby, quindi già mezzo ubriaco e con un'equivoca maglietta sponsorizzata dalla Durex.
Poi fu la volta di David, Alan, Stefan e Massimo.

Puntuali come sempre, bussarono alla porta anche La Mari ed il di lei fidanzato. Tedesco appassionato di balli latino americani e dotato di un nome assolutamente impronunciabile. Per mesi lo chiamammo Reykjavík, come la capitale dell'Islanda. E per mesi lui si limitò ad alzare gli occhi al cielo, rassegnato alla nostra italica inadeguatezza linguistica.

In puntuale ritardo giunsero anche Renée ed il Tandem-consorte, colpevoli di essersi affidati al senso d'orientamento di Gra'. Come se un cane si facesse guidare dal proprio padrone non vedente. Come se qualche fiducioso e sprovveduto automobilista chiedesse delle indicazioni stradali a me.
Con il suddetto trio, che fu recuperato da un gruppo di ricerca formato da uno speleologo, una guida alpina e due rabdomanti. Con il suddetto trio, dicevo, arrivò anche il mitologico Marco di Bolzano.
"Pancrazia!!!"
"Marco!!!"
"Ma quanto tempo!"
"Ti ricordi la nostra prima cena assieme a Schlachtensee?"
"Sì, come potrei dimenticarla?"
"Che hai fatto in questi mesi?"
"Le solite cose: ho frequentato l'università, bevuto birra, e cercato di salvare la pellaccia dalle assatanate donne tedesche che mi zompano addosso in ogni dove!"
"Vedo con piacere che finora ne sei uscito incolume"
"Sì, miracolosamente sì. Ma non sono ancora riuscito a spiegarmi tanto teutonico entusiasmo"
"Come no? Guardati un po' in giro: sei l'unico Erasmus italiano belloccio di questo semestre!" 

I minuti passarono ed il campanello continuò a suonare incessantemente. Nonostante il pessimismo ed il basso profilo degli inviti, la nostra festicciola casalinga si trasformò rapidamente nel party del secolo.

Furono ore di spensierato divertimento. 
Ore in cui io, Ben e chissà chi altro assistemmo dalla finestra alle funamboliche evoluzioni sessuali dei miei dirimpettai. 
Ore in cui Eli, ubriaca come una cucuzza, decise che fosse un'ottima idea affacciarsi dal balcone e sputacchiare sulla strada sottostante.  
Ore in cui m'impossessai e feci indebitamente sfoggio della sofisticata discografia dell'assente Marije.
"Wow, Pancrazia, che gusti meravigliosi!"
"Grazie"
"Che fantastica collezione di cd!"
"Ci sono voluti anni per metterla insieme"
"E i SGBFRTYB ce li hai?"
"Chi???"
"E FRGBNKK lo ascolti?"
"Ma che è? Si mangia?"
"Pancrazia, mi sorge un dubbio: i cd non sono tuoi, vero?"
"No"

Ore in cui si presentarono e vennero accolti decine di amici di amici di amici di amici di amici.
Ore in cui si strinsero nuovi legami, sbocciarono romantici amori, e si formarono diaboliche alleanze.
Ore in cui tutte le provviste furono prese d'assalto da uno stuolo di cavallette impazzite. 

Ore in cui un perticone teutonico decise di farmi dono di una bottiglia di spumante e di uno splendido sorriso. Sorriso tenuto fino a quel momento colpevolmente celato.

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mercoledì 26 settembre 2012

46. La prima impressione

Mosse dall'entusiasmo per la festa de La Mari, anche Eli, Sissi ed io decidemmo di organizzarne una.
Ma dove? La scelta ricadde immediatamente sul mio appartamento. L'unico abbastanza in centro da essere facilmente raggiungibile da tutti. L'unico abbastanza grande da poter contenere un numero adeguato di invitati. L'unico dove non fossero presenti coinquilini noiosi o psicotici, ma solo la mia simpatica, festaiola e mentalmente stabile Marije.

Non ne sono sicura, ma sospetto fortemente che l'idea della festa partì da Sissi, romagnola e PR nell'animo. Io, in realtà, all'inizio non fui particolarmente entusiasta. Certe attività non sono adatte a me ed al mio sistemo nervoso. L'ansia da prestazione mi divora, e la preoccupazione che tutti si divertano e stiano bene riduce notevolmente il mio diletto personale.
Ma Eli e Sissi sciolsero le mie riserve con un convincente: "Non sarà la tua festa. Sarà la nostra festa. Tu dovrai solo metterci la casa. Sta serena e goditela!"
"Va bene, ma se io ci metto l'appartamento, voi che ci mettete?"
"Entusiasmo e abilità organizzativa", rispose prontamente Sissi.
"Guacamole!", rilanciò Elisa.

Gli inviti, rigorosamente a voce, vennero distribuiti a pioggia mantenendo un basso profilo: "Noi sabato prossimo facciamo un party", dicevamo, "una roba tranquilla tra amici, una cosa piccola. Ti va di venire? Ma non ti aspettare niente di che. Al massimo beviamo qualcosa a casa e poi andiamo tutti assieme in giro per locali"
Evidentemente io non ero l'unica ad essere divorata dalla paura che il tutto si rivelasse un patetico fallimento. La mia ansia aveva contagiato anche le mie salde compagne d'avventura.

Quarantotto ore prima del party tricefalo andammo a rilassarci un poco al Quasimodo (leggasi  Kvasimodo). Un noto locale berlinese perfetto per una birretta ed un poco di musica jazz dal vivo.
Mentre sorseggiavo una rossa e, afflitta da un fastidioso mal di testa, meditavo di tornarmene a casa presto, Martino ci gettò addosso due ragazzi urlando "Tenete donne!".
Martino era un cupo filosofando veneto dai rari ed improvvisi sprazzi di vivacità. I due ragazzi erano: un rumeno bassetto che parlava perfettamente italiano, ed un perticone tedesco che guardava e taceva. Taceva e guardava. Guardava parecchio e taceva altrettanto.

Dopo cinque minuti anche loro, al motto di "più siamo meglio è", vennero invitati all'imminente festa.

All'uscita del locale, Elisa commentò: "Molto carino il tedesco"
Ed io risposi: "Sarà pure carino ma avrà detto due parole in tutto, a me sembra un tipo così strano"

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lunedì 17 settembre 2012

45. Feste, formaggio, autosabotaggio, Pacifico. Tanta roba.

Tra un'esperienza mistico-culturale e l'altra anch'io, ovviamente, mi dedicai ai banalissimi ma esaltanti Erasmus-party.
Con il passare dei mesi, ormai, quelli istituzionali organizzati dalla stessa Università non se li filava più nessuno, mentre presero sempre più piede quelli organizzati da chi, come me, aveva abbandonato lo studentato in favore di un appartamento condiviso, una Wohngemeinschaft (WG).

Una delle feste meglio riuscite fu la tardiva inaugurazione della casa de La Mari e dei suoi fratellini spagnoli. L'appartamento de La Frigerina ed i 3 hermanos.
Per una sera, i pochi metri quadrati a disposizione furono riempiti all'inverosimile da una variegata umanità formata da spagnoli, italiani, tedeschi, polacchi, francesi, e chi più ne ha più ne metta. Il tutto fu innaffiato da abbondante, ma mai sufficiente, birra. E nutrito con minuscole scaglie di formaggio Parmesan, rigorosamente tarocco e rigorosamente teutonico. Non chiedetemi il motivo di una tale scelta di rinfresco: non saprei rispondere. Ma sospetto che gli sprovveduti organizzatori non si fossero minimamente preoccupati di fornire qualcosa da sgranocchiare e che quindi, presi alla sprovvista dalle richieste degli ingordi ospiti, si siano infine limitati a ridurre in scaglie piccolissime l'ultimo fondo di formaggio nascosto nel loro triste e vuoto frigo.

Il mio ingresso trionfale al party mi vide faccia a faccia con il bel Felix.
"Ma che sorpresa Pancrazia, ci sei anche tu?"
(Sorpresona! In effetti, il fatto che ci fossero tutte le mie amiche, razza di rimbambito teutonico, non lasciava presagire minimamente il mio arrivo. Vero?)
"Ma che sorpresa Felix, ci sei anche tu?"
("Sorpresona! Del resto La Mari non mi aveva mica telefonato con largo anticipo per avvertirmi della presenza del belloccio del mio cuore e quindi di prepararmi psicologicamente oltre che fisicamente:
"Mi raccomando mettiti in tiro!"
"Oh cielo! Che mi metto? Che mi metto?? Che mi metto???")
Insomma con Felix, come sempre, me la cantavo e me la suonavo da sola. La sua presenza nel nostro immaginario rapporto aveva la stessa importanza di un cartonato. Un bel cartonato, però.

Riguardo al mettersi più o meno in tiro, devo confessarvi un mio problema, un mio limite, un mio comportamento ossessivo. Uno dei tanti.
Quando sto per incontrare un uomo di mio interesse faccio fatica ad acchittarmi.
Mentre sono là che guardo dentro l'armadio, una vocetta nella mia capoccia riccia inizia a darmi il tormento: "Non vorrai mica farti bella per quello? Gli devi piacere così come sei!", "Non vorrai mica perdere tempo a snaturarti per quello là? O gli va bene tutto il pacco, limiti e difetti compresi, o non vale neanche la pena di andare a prenderci un caffè assieme", "Non vorrai mica..."
E tale voce, acuta e fastidiosa come solo la mia stessa voce riesce ad essere, finisce molto spesso col convincermi.
Non che io esca in pigiama, con gli occhietti ancora cisposi e la fiatella mattutina. Non che rifiuti shampoo, doccia e deodorante per una settimana in modo da rendermi il più naturale e disgustosa possibile. Non che indossi per l'occasione solo vestiti con patacche di sugo ed un morbido tappetino di forfora.
Semplicemente scelgo volutamente e provocatoriamente di mantenere un basso profilo. Voglio lanciare un messaggio subliminale del tipo: "Abbbello, non t'aspettavi mica che perdevo tempo a preparamme pe' te? Ma figurati! C'ho altro da fare. C'ho."

Sì, insomma, diciamocela tutta, metto in atto un vero e proprio piano di autosabotaggio.
Ho dei problemi. Lo so.

Per la festa de La Mari, ad esempio, bandii il vestitino a fiori tanto femminile o il toppino sexy e mi rifugiai nei classici jeans con abbinata anonima maglietta.
"Felix è una battaglia persa", mi dicevo, "e la soddisfazione di darmi da fare per lui non gliela do. E che cavolo!"
Che vi avevo detto? Autosabotaggio.
E delirio.
Ma se fossi normale ed equilibrata non mi vorreste altrettanto bene, no?

Comunque, com'era ampiamente prevedibile, la conversazione tra me e Felix languì molto rapidamente. Dopo pochi minuti, lui tornò a rifugiarsi dai suoi amichetti piangendo la mancanza della Valchirica Ex, ed io invece cercai conforto tra birra e formaggio.
Un sorso di qua ed un morso di là, ben presto divenni l'oggetto delle moleste attenzioni di un australiano (un altro!) in viaggio per l'Europa.
Alla fine, per togliermelo di torno, fui costretta a buggerarlo, inventandomi di sana pianta un viaggio programmato nella terra dei canguri. Viaggio durante il quale sarei sicuramente passata a fargli un salutino.
"Ma sì, certo, dammi il numero di telefono" "L'indirizzo? Come no!" "Quanto ho intenzione di fermarmi? Almeno due mesi! Uno l'Australia o la visita per bene o non la visita proprio!" "Ci si vede presto, eh?"
 
Australiani e giapponesi. Che dire? Andavo fortissimo nel Pacifico.

O forse non solo?
Forse il grande incontro che avrebbe lasciato un segno indelebile nel mio Erasmus doveva ancora avvenire. E forse non avrebbe riguardato un rappresentante dell'emisfero australe.
Forse.

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giovedì 13 settembre 2012

44. Berlin ist arm, aber sexy

Tra un simulatore ginecologico e l'altro. Tra un primario poco simpatico e l'altro. Tra un esame insormontabile e l'altro. Tutto il mio erasmico cucuzzaro ed io riuscimmo comunque a ritagliarci dei momenti speciali, delle serate uniche, delle uscite memorabili.

Berlino era ed è una città che offre ogni tipo di divertimento e di stimolo culturale, il tutto ad un prezzo decisamente abbordabile. "Berlino è povera ma sexy", come ebbe felicemente a dire nel 2004 il sindaco Klaus Wowereit.
E di questa città, stropicciata, aperta e spudorata, consumai sfacciatamente ogni occasione, divorai ogni esperienza, bevvi fino all'essenza.

A Berlino conobbi l'Opera, il balletto sperimentale, il teatro d'avanguardia e persino il cabaret. Mi ritrovai più volte in un bugigattolo ad ascoltare promettenti comici tedeschi, a capire le loro battute, e a ridere euforizzata dalla birra e dal sopraggiunto superamento del gap linguistico.
Rimarrà indimenticabile quella volta che un tizio cominciò a raccontare in musica il dramma di una vacanza lungo le nostre italiche coste. Vacanza che, per l'uomo teutonico medio, è costellata da incomprensibili donne italiane (vedi: Homo germanicus) e da irraggiungibili donne tedesche completamente succubi del fascino mediterraneo:
"All together now!
Lo confesso: mi chiamo Karl Heinz, non sono Francesco.
Mi dispiace non sono di Torino, vengo solo da Berlino."
A sentire il nome della mia città natale quasi mi ribaltai dalla sedia, suscitando scalpore, curiosità ed eterna riconoscenza da parte dell'esordiente commediante.

A Berlino provai la cucina indiana, tailandese, giapponese, egiziana, ebraica, e chissà quante altre che non ricordo neanche più.
Seduta lungo infinite tavolate o accovacciata tra morbidi cuscini soddisfai curiosità e palato.

A Berlino vidi i film di Wim Wenders nella loro naturale cornice, partecipai ad una retrospettiva su Fellini, mi persi e ritrovai tra le mille occasioni offerte dal festival del cinema.

A Berlino sognai nelle sale del lussuoso caffè russo, calpestando marmi antichi e tappeti pregiati con le mie inseparabili scarpe da ginnastica, e porgendo al solerte cameriere il piumino da battaglia e l'inseparabile borsa tascapane.

A Berlino camminai per musei e mostre, con il naso rivolto all'insù ed il piacere di condividere scoperte e bellezze. Visitai mille volte gli atelier del Tacheles con gli equilibristi in ferro battuto, i corvi gracchianti al cielo e le mille testimonianze lasciate da mille mani in mille giorni.

A Berlino, nel caso non si fosse ancora capito, ho lasciato un pezzo di cuore.

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giovedì 6 settembre 2012

43. Augenheilkunde

Augenheilkunde.
Una parola che fa paura, eh?
E ancora non sapete quanto!
Letteralmente significa "medicina degli occhi". Oftalmologia.

Oftalmologia fu uno dei tre corsi che seguii durante il mio semestre berlinese e, in assoluto, fu quello che mi diede più problemi e mi tolse più ore di sonno.
Ciò non dipese affatto dalla difficoltà della materia, oggettivamente tra le meno ostiche in medicina, ma da un contrattempo che mi regalò un viaggio di sola andata nella "teutonica elasticità mentale". Un viaggio che ancora oggi mi fa rabbrividire al solo pensiero.

Tutto ebbe inizio una tranquilla mattina di gennaio quando, piena di buoni propositi, mi recai alla mia prima lezione pratica di oftalmologia. Mi sedetti su una seggiola e, dopo pochi minuti, scoprii con raccapriccio che quella non era la prima, ma bensì la quarta delle lezioni.
E le precedenti?
Le avevo perse e con esse anche la possibilità di raggiungere il monte minimo di ore richiesto. Questo era pari al 70%. Io raggiungevo il 66%. Quattro miseri punti di scarto diedero il via ad un incubo di rincorse, porte chiuse in faccia, suppliche e frustrazioni.

Come aveva potuto verificarsi una tale accademica catastrofe?
Per una volta posso dire, senza paura di essere smentita, che: non fu colpa mia! Affatto.
Io non c'entravo niente.
Ero vittima, non colpevole.
Gitte, la mia solerte coordinatrice Erasmus, aveva preso una cantonata pazzesca, un abbaglio monumentale, dandomi delle date di riferimento completamente sbagliate.
L'errore era di stampo germanico ma io, italica incolpevole, sembravo essere destinata a pagarne le conseguenze.

Col cavolo!

Vestendo i panni di una poco mistica Giovanna d'Arco mi ribellai al destino cinico e baro.
In qualità d'acrofobica alpinista sfidai una burocratica parete di roccia teutonica.
Sorda e cieca di fronte ad alzate di spalla, malcelato fastidio e spudorato pregiudizio, marciai con portamento fiero per la mia strada, pronta ad abbattere ogni ostacolo e rialzarmi ad ogni sgambetto.

La mia unica alleata fu Gitte.
Ella, mossa dal senso di colpa o dal desiderio di giustizia, mi offrì tutto il proprio sostegno anche se, comunque, quella che dovette fare le poste e dare il tormento al professore fui io.

Costui si oppose strenuamente a qualsiasi ricerca di compromesso o soluzione.
Come un disco rotto ripeté ad ogni mio casuale agguato in corsia:

"Non può dare l'esame non ha abbastanza ore"
"Non è colpa mia. È la coordinatrice ad avermi dato gli orari sbagliati."
"Non ha alcuna importanza. Non si può. Punto."

"Non può dare l'esame non ha abbastanza ore"
"Non è colpa mia. È la coordinatrice ad avermi dato gli orari sbagliati."
"Non ha alcuna importanza."
"Sono disposta a recuperare tutte le ore perdute"
"Non si può. Punto."

"Non può dare l'esame non ha abbastanza ore"
"Non è colpa mia. È la coordinatrice ad avermi dato gli orari sbagliati."
"Non ha alcuna importanza."
"Sono disposta a recuperare tutte le ore perdute"
"Non si può"
"Mi trasferisco in reparto a farmi schiavizzare per una settimana"
"Punto"

"Non può dare l'esame non ha abbastanza ore"
"Non è colpa mia. È la coordinatrice ad avermi dato gli orari sbagliati."
"Non ha alcuna importanza"
"Sono disposta a recuperare tutte le ore perdute"
"Non si può"
"Mi trasferisco in reparto a farmi schiavizzare per una settimana"
"No"
"Due settimane?"
"No"
"Tre settimane?"
"No"
"Pulisco i bagni di tutto l'ospedale con uno spazzolino da denti. Il mio."
"No"
"Mi prostituisco?"
"No"
"Le dono un rene?"
"Punto"

Fino a quando, esasperata, cambiai tattica:
"Perché dovrei pagare io per l'errore di qualcun altro?"
"E perché dovrei porre rimedio io agli errori di un'incapace coordinatrice italiana?"
"Italiana? Guardi che la coordinatrice incapace è tedesca"
"Non è possibile!"
"Oh sì, che lo è. Ecco il numero, la chiami"
Tutte le certezze del Professore crollarono in un secondo. Con le mani tremanti sollevò il telefono, compose il numero ed attese.
Dopo pochi squilli riconobbi chiaramente la voce di Gitte che si scusava, supplicava, e intercedeva.

Alla fine, stanco e sconfitto, il primario ebbe la forza di dirmi solo: "Domani venga in reparto."
Dal giorno seguente divenni una felice schiava, una soddisfatta galoppina, una solerte inserviente.
Al Professore non rimase altro che lanciarmi sguardi carichi d'odio ogni volta che m'incrociava lungo i corridoi.
E, probabilmente, nasconde tuttora nel proprio studio un bersaglio per freccette con il mio italico faccino ritratto sopra.

Continua...

Pancrazia in Berlin - Il Ritorno

Poche righe per avvertire i lettori distratti e i passanti ignari che dall'altra parte, su Radio Cole , sto raccontando il mio ultimo vi...