giovedì 26 luglio 2012

39. Waiting for the irish guy

Ben un giorno annunciò: "Presto si trasferirà a Berlino il mio carissimo amico irlandese: Alan. Vi piacerà!"
L'innocente dichiarazione dell'ignaro britannico fece scattare in tutto l'Erasmico Gineceo vivide e niente affatto innocenti immagini mentali.
La mia, dal basso verso l'alto, era la seguente: scarpe da ginnastica vissute, jeans stropicciati ad avvolgere un paio di celtiche gambe muscolose, maglione teso sopra ampio torace, irresistibile sorriso, barbetta incolta, occhi cerulei, capelli scompigliati e magari, giusto per non farsi mancare nulla, anche una chitarra in spalla.

Alan divenne rapidamente il più gettonato protagonista delle nostre fantasie ed il più abusato argomento delle nostre conversazioni. Ognuna si nutriva dei deliri delle altre, fino a produrre un mostro di perfezione: bello, sexy, simpatico, arguto e sessualmente instancabile. Del resto nel momento in cui si sogna è giusto non porsi alcun limite, anzi.
Quel poveraccio se ne stava in Irlanda a preparare i bagagli totalmente all'oscuro di essere già diventato una figura mitica a Berlino. Il tapino, probabilmente, se avesse saputo quanto fossero alte le aspettative su di lui, se ne sarebbe restato a casa sua con la porta chiusa a doppia mandata.

Una sera inaspettatamente accadde il miracolo: incontrammo per caso Ben ed Alan per strada.
Ci fermammo a chiacchierare e dopo 5 minuti i due giovani andarono per la loro strada e noi per la nostra.
Rimaste sole, eccitate come dei criceti, cominciammo a parlare tutte assieme: "Ma l'avete visto???" "Si!!!" "Ma quant'è gnocco???" "Tanto!" "Ed i capelli?" "Folti e meravigliosi" "Con i riflessi ramati." "Siii, che meravigliosi riflessi!" "E la voce?" "Stupenda. Certo non che abbia parlato molto, ma quel poco è bastato" "Si. Ho sentito un brivido lungo la schiena quando si è presentato e ha detto A..." "Ha detto Alan, vero?" "Certo, almeno credo." "Io ero tutta emozionata non è che lo stessi ascoltando molto" "Ma certo che ha detto Alan. Forse." "Qualcuna di voi l'ha sentito dire Alan????" "Io no" "Neanch'io" "E poi è strano che Ben non ci abbia avvertito del suo arrivo" "Già, sembrava così desideroso di farcelo conoscere" "E l'accento?" "Era irlandese?" "Io non ho sentito nessun accento." "Neanch'io" "Parlava così bene tedesco" "Proprio come un..." "...tedesco" "Oh cacchio!"
Eravamo state vittime di un increscioso episodio di Allucinazione Collettiva. Appena incontrato Ben con un ragazzo che non conoscevamo avevamo desunto che costui fosse Alan. Eravamo state cieche e sorde di fronte a tutti gli indizi che indicavano il contrario. Il canto ubriaco delle nostre ovaie aveva coperto il richiamo del buon senso. Avevamo fatto la figura di un gruppo di ninfomani cretine!

Pochi giorni dopo l'imbarazzante episodio, conoscemmo finalmente l'uomo che per tanto tempo avevamo atteso, l'irlandese che aveva mandato i nostri pochi neuroni in pappa, l'essere sulle cui spalle gravavano tutte le nostre aspettative.
I capelli non erano folti, le gambe non erano muscolose ed il torace non era ampio.
In effetti, più che un Dio del sesso, Alan sembrava un morbido orsacchiottone. Un ragazzo simpatico e gentile con (pochi) capelli rossi, profondi occhi azzurri e un'inclinazione particolare per le tragedie sentimentali.
Ogni volta che gli piaceva una ragazza questa, nel giro di 24 ore, finiva a letto con qualche amico di lui. Perché egli, oltre ad avere un pessimo gusto nello scegliere le donne, ne aveva uno anche peggiore nello scegliersi gli amici: tutti più belli, privi di sensibilità, estranei a qualsiasi forma di empatia e soprattutto bulimici sessuali.
Ed anche quando riusciva a sublimare l'innamoramento con una storia vera e propria, nel giro di poco veniva sistematicamente mollato o per un ragazzo migliore, eventualità a cui lui reagiva con una grande signorilità, o per un lavoro dall'altra parte del mondo, eventualità che lo trasformava in un cane abbandonato in autostrada, o per un'altra donna, eventualità che gli procurò un abbonamento decennale dallo psicanalista.

Alan era decisamente sfortunato in amore, ma la colpa a ben vedere non era solo della cattiva sorte. Se, invece di provarci sempre con le ragazze sbagliate, ogni tanto ci avesse provato con quelle giuste forse le cose sarebbero andate diversamente.

Caro Alan, 
a distanza di più di 10 anni è giunto il momento che te lo dica. 
Se, putacaso, invece di provarci con le altre, ci avessi provato con me: io ci sarei stata.
Pirla!!!

Con affetto,
la tua amica Pancrazia(quella a cui volevi bene come ad una sorella)


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martedì 24 luglio 2012

38. Un australiano (semi)nudo nella mia cucina

Il 3 gennaio del 2001 cominciò la mia nuova vita a Berlino.
Da quel momento avrei vissuto in uno splendido appartamento sito in Marienburger Strasse 47. La mia idea di paradiso.

Marije si rivelò ben presto essere la coinquilina perfetta: pulita, affabile e sempre disponibile.
In verità, a voler essere proprio pignoli, un difettuccio ce l'aveva: ospitava continuamente gente a casa.

La sua vita randagia, divisa tra Olanda, Svizzera, Australia e Germania, l'aveva portata ad avere amici sparsi per tutto il mondo. Amici che periodicamente la venivano a trovare.
Tutto questo via vai era molto pittoresco e divertente, ma ogni tanto un po' di tranquillità non mi sarebbe certo dispiaciuta. Fare colazione con emeriti sconosciuti o sorprendere coppie nordiche che copulano sotto la doccia può anche essere divertente, ma dopo un po' viene a noia.

Ad onor del vero, devo ammettere che tutto questo traffico aveva un suo lato positivo. Ogni volta che doveva arrivare qualcuno, Marije si metteva a pulire casa da cima a fondo e, data la frequenza con cui arrivavano ospiti, l'appartamento era sempre lindo e splendente senza bisogno che io alzassi un dito. Lei entrava in cucina con secchio e scopettone ed io capivo che di lì a poco avremmo avuto visite.

La prima sera nel nuovo appartamento la trascorsi a chiacchierare con un ragazzo olandese.
Preda della mia solita ansia da prestazione, desiderosa di risultare simpatica e smaniosa di fare "la donna di mondo", non trovai niente di meglio che raccontargli quella volta che, durante un viaggio in Belgio, mi ero spinta fino in Olanda. In quell'occasione avevo visitato la cittadina di Maastricht, che non mi aveva colpito particolarmente e che quella sera definii, senza mezzi termini, anonima ed insignificante.
"Io sono di Maastricht", disse lui asciutto. Per un attimo sperai che quello fosse un esempio di ironia olandese. Una battuta. Uno scherzo. Ed invece no. Lui non era un olandese ironico in vena di spiritosaggini, ma io ero decisamente un'italiana cretina in vena di figuredimerda.

Un giorno aiutai Marije a preparare una luculliana cenetta per due suoi amici: una ragazza svedese ed il di lei fidanzato. L'innamorato era nuovo di pacca, venuto fino a Berlino proprio per essere presentato alla mia coinquilina.
La fidanzata era il prototipo perfetto della bellezza nordica: capelli color oro, occhi azzurri, zigomi alti ed un corpo aggraziato. Lui, invece, aveva il fisico del Gobbo di Notre Dame, l'eleganza di Homer Simpson e la simpatia di Puffo Quattrocchi.
Marije, superato lo shock iniziale, esibì per tutta la sera un sorriso tirato, molto simile ad un ringhio, mentre io, zitella ma felice, capii finalmente il profondo significato del detto "meglio soli che male accompagnati".

La mia accondiscendenza nei confronti dei continui ospiti vacillò quando mi venne annunciato l'arrivo di alcune amiche.
Sette.
Sette amiche svizzere.
Nove donne ed un solo bagno.
Credo che siano scoppiate guerre sanguinose per molto meno!
Il folto gruppo si fermò per una lunga, lunghissima settimana, dormendo spalmato su letti, brandine e materassini. Un accampamento in piena regola.
Questa affollata visita cadde proprio nel bel mezzo della sessione dei miei esami e più di una volta, esasperata dalla confusione ed il chiacchiericcio, ebbi la tentazione di soffocare nel sonno tutte e sette le galline starnazzanti. Per fortuna non lo feci e la mattina di una prova scritta trovai, attaccato alla porta della mia camera, un post-it d'incoraggiamento firmato da tutto l'elvetico gruppo vacanze. Erano molto fastidiose, ma sapevano farsi voler bene.

Ma l'ospite numero uno, l'ospite di tutti gli ospiti, fu lui: l'Australiano.
Tornando a casa un pomeriggio, entrai in cucina e mi trovai di fronte ad un bellissimo ragazzo coperto solo da un asciugamano striminzito avvolto intorno ai fianchi.
"Ciao! Io sono Tom, e tu?"
"Io sono Pancrazia e vivo qua."
"Sei l'Italiana? Io sono stato in vacanza in Italia, mi hanno insegnato tantissime parole", e mi vomitò addosso una serie di colorite parolacce.
"Ma queste cose te le hanno insegnate o urlate dietro?"
"Come? No, no, eh eh, simpatica."
"Sai quello che hai detto?"
"Sì. Credo. Forse. Non lo so. Perché?"
Avevo trovato un australiano carino e mezzo nudo nella mia cucina, non potevo pretendere che fosse anche intelligente. Pure la fortuna sfacciata non può essere tanto sfacciata.

Allo studentato una cosa così non mi sarebbe mai successa.
Allo studentato di surfisti (semi)nudi neanche l'ombra.

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domenica 22 luglio 2012

37. Gru e streghe

La mattina seguente mi avviai per le scale. E fu lì che lo trovai.
Lì. Impalato. Alle 8 di mattina. Con il suo cappotto color cammello e un pacchetto stretto tra le dita.
"Che ci fai qua?"
"Sei tornata?"
"Hai assaggiato il Pandoro?"
"Ho un regalo per te"
"Sto traslocando"
"Lo so. Sono qua per aiutarti"

Chissà da quanto tempo era lì. Pazzo e presente. Gentile senza fronzoli. Unico.
Fumiki prese lo scatolone che tenevo in braccio.
"Attento, è pesante"
"Ho fatto il traslocatore. È tutta questione di metodo"

In quella scatola avevo riposto gran parte di ciò che avevo accumulato negli ultimi tre mesi. Sopra quell'eterogeneo insieme di oggetti faceva bella mostra di sé un festone di gru in cartoncino colorato. Un vecchio dono del mio nipponico amico.
"Ti porti anche queste?"
"Certo"
"Ma non sono un granché"
"Sono bellissime"
"Te ne avrei potute fare di più belle"
"Queste sono splendide"
"Il regalo non lo apri?"
"Io non ti ho fatto niente"
"Ho mangiato una fetta di Pandoro"
"Non è un gran regalo una fetta di Pandoro"
"Arriva dalla tua terra, certo che lo è"

Appoggiai il resto delle mie cose sul tavolo da pranzo e aprii il suo regalo natalizio: una streghetta.
"Ti porterà bene. Io non credo a queste cose. Ma ho pensato che magari tu sì. Se non ti piace non importa. Era solo un pensiero. La puoi anche buttare se vuoi"
"È bellissima, grazie. Nella mia nuova stanza ci sono due finestre: una sarà per le gru e l'altra per la strega. Sarò al sicuro."

Non sarei mai riuscita a far quel trasloco tutto da sola. Mi ci sarebbe voluta una giornata intera e, invece, con l'efficiente aiuto di Fumiki, portai tutto il mio mondo da una parte all'altra di Berlino in un'ora. Un'ora delle nostre solite chiacchiere.
"Parli come una buddista"
"Credi che dovrei diventare buddista?"
"Credo che ognuno dovrebbe rimanere della propria religione"

Un'ora da Schlachtensee a Prenzlauerberg.
"Eccoci qua"
"Non ci sono negozi. Dove farai la spesa?"
"C'è un supermercato all'angolo e un altro al fondo della strada"
"Saranno sicuramente più cari di quelli davanti allo Studentato"
"E perché mai?"
"E i servizi? Se ti serve qualcosa come fai?"
"Ho la Posta davanti casa e due Banche ad un isolato"
"La fermata della metro è lontana e non c'è l'autobus"
"La metro è molto più vicina di quanto sia a Schlachtensee. E qua c'è il tram. Ti piace il palazzo? Molto bohemienne, no?"
"Se per bohemienne intendi vecchio. Sì, molto bohemienne"
"L'appartamento è fantastico, non trovi?"
"L'arredamento è banale"
"Banale? Ho una scrivania ricavata da una vecchia macchina da cucire, una palla trasparente come sedia, un pazzesco letto a scomparsa, e un'amaca"
"Sì, appunto. Ora devo andare"
"Mi verrai a trovare?"
"Sarò molto impegnato con l'università"
"Io comunque sono qua, l'indirizzo lo sai"
"Certo, magari ci vediamo. Chissà. Ciao"
"Ciao"

Ci sono persone capaci di svegliarsi all'alba e di caricarsi uno scatolone sulle spalle per te. Persone che però non ti diranno mai che gli mancherai, preferendo di gran lunga tenerti il muso come il più capriccioso dei bambini.

Ci sono persone che non dimenticheranno mai le piccole lezioni di spigolosa saggezza ricevute. Persone che, nel fondo di un armadio, conservano ancora gelosamente festoni di gru colorate ed una streghetta porta fortuna.

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martedì 17 luglio 2012

36. L'ultima notte a Schlachtensee

Dopo essermi trascinata per il parco dello studentato, in mezzo a fango, cumuli di neve, sabbie mobili, alligatori e sanguisughe, entrai finalmente nella mia Haus, con lo zaino-slittino-dembulatore in spalla ed il freddo cronico nelle ossa.

In questo pessimo stato venni accolta dal riscaldamento teutonico che, in barba al buco dell'ozono, l'inquinamento ed il risparmio energetico, raggiungeva sempre livelli tropicali. Come un Mammut liberato dai ghiacci presi a zompettare leggiadra per le scale e, dopo essermi fermata in cucina a lasciare in dono un soffice Pandoro, rientrai finalmente nella mia stanzetta.
Questa era ancora linda come sempre, ma ormai spoglia.
Prima di partire, infatti, avevo inscatolato tutto in vista del trasloco imminente, ed il mio mondo ora giaceva accatastato in un angolo.

Infilatami sotto il piumone, trascorsi così la mia ultima notte a Schlachtensee. Una notte di ricordi e bilanci, progetti e paure.
Mi apprestavo a cominciare una nuova fase. Lasciavo il certo dello studentato per l'incerto dell'appartamento condiviso.
Lasciavo le cene con le Comari ed i tè con Fumiki per qualcos'altro, ma non sapevo ancora cosa.

Renée e Gra' avevano scelto di rimanere allo studentato.
La prima nella stanza dalle tende colorate e il profumo di buono. Stanza che aveva visto il lento, lentissimo, ma inesorabile avvicinamento tra lei ed il suo Tandem. No, non la bicicletta, ma Florian. Lo studente tedesco con cui Renée s'incontrava per chiacchierare e insegnarsi reciprocamente le proprie lingue madri. In pratica lei gli parlava in tedesco e lui le rispondeva in italiano.
Incontri e scambi di lingue. Se dovessi scrivere tutti i doppi sensi ed i giochi di parole di cui furono vittime i due innamorati ci potrei aprire un altro blog. Quasi quasi.
La seconda rimase nella sua superaccessoriata camera, dotata di televisore portatile e di un invidiabile guardaroba. Ma anche di un, molto meno invidiabile, vicino russo. Ragazzone spocchioso che si faceva chiamare il Padrino, vantava un intoccabile frigorifero di proprietà, e amava dare il bianco in mutande.

Sissi, La Mari ed Eli, invece, avevano fatto la mia stessa scelta ed avevano già traslocato tutte prima di Natale.
Sissi aveva trovato posto in una villetta stretta stretta e alta alta, con un giardino da curare, il vialetto da pulire, e due germanici coinquilini sulla cui simpatia vertevano e vertono tutt'oggi opinioni contrastanti. Se chiedete a Sissi ed Eli vi diranno che lui era strano e lei simpatica. Ma se chiedete a me, ed ovviamente la mia opinione è l'unica che conti, vi dirò che lui era gentile e lei una "faccia da patata" di rara antipatia.
La Mari aveva scelto di dividere un appartamento con tre ragazzi spagnoli, già suoi vicini di stanza allo studentato. Furono i 3 hermanos e la loro amata Frigerina. Perché quando cresci tra fratelli e studi ingegneria hai pelo sullo stomaco e spirito d'adattamento superiori alla media. Questo gli uomini lo sentono e ti adorano a prescindere.
Eli, esibendo di diritto lo scettro della sfiga, era finita in una casa di pazzi. Con un coinquilino dal passato infelice, il presente incerto, e l'equilibrio labile. Con un'acida massaggiatrice che l'accusava di tutto, dagli aloni sui vetri alla fame nel mondo. E, per non farsi mancare nulla, anche con un giovanissimo rockettaro dalle gambette secche e l'aria triste e confusa di chi è nato nel decennio sbagliato.

Chissà a me cosa sarebbe toccato.

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giovedì 12 luglio 2012

35. Pancrazia on ice

Tornai a Berlino la sera del 2 gennaio con uno zaino pieno di delizie nostrane, e l'animo colmo di voglia di ributtarmi nella mischia.

Atterrata a Tegel trovai una città coperta da metri di neve e da uno spesso strato di ghiaccio.
Su strade e marciapiedi si poteva assistere ad evoluzioni di pedoni ed automobili degne di una finale dei mondiali di pattinaggio.
Mantenere il controllo dell'andatura era fisicamente impossibile e così era tutto un fiorire d'involontari axel, tolup, trottole, tripli tolup, quadrupli axel. Tutto un volare di femori, tibie, paraurti e pneumatici che seguivano ardite parabole e spettacolari coreografie.

Noi italiani abbiamo la convinzione che il cattivo tempo faccia disastri solo dalle nostre parti, mentre dalla Svizzera in su l'organizzazione sia sempre ineccepibile, e la vita del tipico cittadino nordico non subisca mai ritardi o contrattempi.
Ebbene, vi devo svelare un segreto: le cose non stanno proprio così.

In effetti, vi sono degli eventi che si verificano solo da noi: tipo intere città bloccate da 20 cm di neve o mezza montagna che viene giù per due ore di pioggia. Queste purtroppo sono nostre peculiari caratteristiche, figlie di amministrazioni vergognose ma anche di cittadini incoscienti.

Ma due metri di neve venuti giù in poche ore possono mettere in difficoltà anche l'attrezzata Germania. Perché, per quanto si sia organizzati, la neve prima di toglierla bisogna comunque aspettare che si depositi, non si possono mica mandare i messi comunali a prenderla al volo fiocco per fiocco. Ed il ghiaccio, per quanto uno vada giù di sale, se c'è da formarsi si forma comunque. La differenza non sta dunque solo in istituzioni più organizzate, ma anche in cittadini mediamente più consapevoli e responsabili che si lamentano di meno e si attrezzano di più.

Quella sera il marciapiede brillava di una sinistra e ghiacciata luce, ed io avrei dovuto attraversarlo per salire sull'autobus. La superficie era talmente scivolosa che, con lo zaino in spalla, avrei immediatamente fatto la fine della tartaruga capottata sul guscio.
I minuti passavano, l'autista del bus mi guardava annoiato, ed io cercavo disperatamente di trovare una soluzione.
Alla fine mi ricordai di essere lontanissima dalla casa madre, principio base su cui si fonda il sempre valido concetto "Qua non mi conosce nessuno, che me frega!"
Quindi mi sfilai lo zaino dalle spalle, lo buttai a terra di fronte a me e, mettendomici cavalcioni, ne feci un uso a metà tra lo slittino di Heidi e il deambulatore di una vecchietta. Spinta dopo spinta, grugnito dopo grugnito, raggiunsi l'agognata meta e mi issai a bordo del mezzo con sfacciata disinvoltura.

L'autista, dopo aver raccolto la mascella che nel frattempo era caduta ad altezza ginocchia, cercò di dipingersi sul volto un'espressione di tipica indifferenza crucca. In realtà la cosa non gli riuscì molto bene, ed io da quella sera sono pienamente consapevole di appartenere all'aneddotica di una qualche sconosciuta famiglia berlinese.
"Andate a dormire pampini."
"No, papà, prima raccontaci storia d'italiana pazza ke cavalca zaino!"
"Ancora??? Ma avete cià sentito mille volte!"

Ero tornata a Berlino.
Finalmente.

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lunedì 2 luglio 2012

34. Un indimenticabile Capodanno (seconda parte)

Quando si è una ragazza di poco più di vent'anni si ha il guardaroba pieno di vestiti adatti ad ogni stagione.
Attenzione, non sto parlando di abiti nati per andare bene con ogni temperatura. Ciò sarebbe saggio e utile, e non è assolutamente questo il caso!
Parlo di frivoli abitini sottoveste che le ventenni si ostinano a portare in qualunque periodo dell'anno: per il veglione di san Silvestro come per il falò di ferragosto. Indifferentemente.
E' inverno? Ci si piazzano sotto dei collant ed un paio di stivali. E' estate? Li si abbina con dei sandali.

Se poi sei una ragazzetta inglese ubriaca i sandali te li metti pure a gennaio, ma questo è un altro discorso. 

Io e le mie degne amiche, in quanto ventenni, quel lontano 31 dicembre del 2000, a 1200 metri d'altitudine, tra le vette innevate piemontesi, scegliemmo un abbigliamento che sarebbe stato perfetto anche per un aperitivo ai Caraibi.
A nostra difesa voglio solo ricordare che la festa si sarebbe dovuta tenere in un caldo appartamento. Teoricamente un giaccone ed un paio di scarpe chiuse sarebbero stati più che sufficienti per superare il tragitto auto-portone. Ma così, ovviamente, non fu.

Gnocche più che mai raggiungemmo tronfie l'ingresso del party. Suonammo il campanello, l'uscio si aprì, e in un attimo fummo travolte da un branco di piumini, sciarpe, doposci e cappellacci di lana.
"Evviva: andiamo ad aspettare la mezzanotte sulle piste!", vociò gaio l'informe gruppone adeguatamente abbigliato mentre guadagnava l'uscita.
"...", rispose pietrificato il manipolo di minigonne fascianti e mocassini appena lucidati. Perché, a ben guardare, anche gli esponenti maschili della comitiva avevano optato per un abbigliamento leggero ed urbano.

Dopo interminabili minuti trascorsi sulle scale a guardarci con gli occhi persi. Il più "coraggioso", il più incosciente, il montone capo del gregge di pecoredilanaprivate cui appartenevo, si erse nel suo metro e 60 cm scarsi di altezza e, forte del calore infusogli dal limoncello bevuto prima di uscire, esclamò con voce stentorea: "Non vorremo mica farci ridere dietro da questi? Non vorremo mica fare la figura dei soliti fighetti di città? Andiamo anche noi sulle piste!", urlò precipitandosi verso l'uscita.
E noi, idioti, dietro a lui.

Ovviamente io, che mi metto il golfino anche a luglio, cercai di oppormi.
"Ma guardate che moriremo di freddo."
"Quante storie! Dovremo resistere solo pochi minuti."
Pochi minuti.
Pochi minuti un par di balle.
Stazionammo sulle piste da sci dalle 11 all'una di notte.
Voi avete idea di cosa voglia dire stare due ore vestiti da sera in piedi su una pista da sci? Io sì.
Voi avete idea di cosa voglia dire avere talmente freddo da desiderare di darsi fuoco? Io sì.
Voi avete idea di cosa si provi ad avere un vestitino leggero con sopra un cappottino altrettanto leggero e, per sbaglio, finire in mezzo ad una battaglia di palle di neve? Io no. Ma la mia amica BellaeSfortunata sì, e ancora va in analisi per superare il trauma!
Fu un vero miracolo che nessuno di noi perse per il freddo qualche falange. Io, a distanza di anni, ancora mi conto con orgoglio e commozione le mie dieci cazzutissime dita dei piedi che, nonostante l'ipotermia acuta e contro ogni legge fisica, quella notte scelsero di rimanermi fedelmente attaccate.

Grazie care, approfitto di questa occasione per ringraziarvi pubblicamente. 

Furono le 2 ore più lunghe della mia vita e, ad onor del vero, non solo della mia. Ben presto lo sconforto ci travolse tutti e, con l'ultimo briciolo di orgoglio e folle irrazionalità rimastoci, decidemmo di non ripresentarci davanti all'uscio dei simpatici montanari che ci avevano tirato un pacco sì grande e sì gelido. E prendemmo a vagare sconsolati per il paese, cercando riparo in ogni locale, ogni baretto, ogni pertugio dell'amena località sciistica.
Ormai eravamo in giro e il capodanno l'avremmo festeggiato così: a membro di segugio!

Ogni posto era strapieno e noi eravamo troppi: mentre il primo riusciva a raggiungere il bar e ordinare qualcosa, due terzi del gruppo erano ancora fuori a spingere, spintonare, e cercare con poca fortuna di entrare.
Nel disperato ed inutile tentativo di scaldarci ci attaccammo ad ogni forma di alcool disponibile. Qualcuno vi dirà di avermi vista addirittura sfondare a spallate la vetrina di una profumeria e scolarmi una confezione da mezzo litro di Just Cavalli Parfume. Costui mente sapendo di mentire.
Era Chanel numero 5. Sono una donna di classe io.
La mia amica LaBionda, fino a quel momento astemia, in stato di evidente alterazione alcolica, mi costrinse ad accompagnarla in bagno. Nel senso che la dovetti proprio accompagnare fino a dentro il cesso, e tenerle la manina mentre lei, colta da un attacco di ridarella, cercava di mantenere l'equilibrio su una turca e non farsela sulle scarpe.
Che bei momenti.

Alla fine tornammo stremati, bagnati e incacchiati come bisce nel nostro monolocale. Ci insaccammo nei nostri sacchi a pelo da cacciatorini e perdemmo i sensi su ogni superficie utile: letti, divani, tappeti, vasche da bagno e tavoli da pranzo.
Io e il fedele amico IlBuono scappammo a valle appena si fece giorno. Senza guardarci indietro. E con Michele Zarrillo e la sua stracacchio di Rosa Blu a farci da colonna sonora.

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Pancrazia in Berlin - Il Ritorno

Poche righe per avvertire i lettori distratti e i passanti ignari che dall'altra parte, su Radio Cole , sto raccontando il mio ultimo vi...