Forse non ci
avete mai fatto caso ma ogni tanto capita che, in occasione delle partite di
calcio della nazionale o delle squadre di club italiane all’estero, il
telecronista sottolinei la presenza di Erasmus sugli spalti. Ciò si verifica soprattutto
nei paesi più lontani ed isolati del continente, dove sono pochissimi i tifosi disposti
ad affrontare la trasferta. Gli Erasmus fanno colore e permettono al
giornalista di turno di distrarre l’attenzione dagli spalti tristemente vuoti.
E secondo
voi, io potevo perdermi un’esperienza così?
Onestamente
non ricordo quale fosse il motivo che mi spinse ad andare a prendere freddo
all’Olympiastadion di Berlino. E, soprattutto, quale fosse il motivo che spinse
un’orgogliosa gobba come me a congelarsi il sederino sui seggiolini di plastica
per vedere l’Inter.
Vi è
un’unica spiegazione valida: io ero Erasmus nell’animo. E, se sei un Erasmus, parti
dal presupposto che ogni lasciata sia persa, ed ogni scusa sia buona per fare
un’esperienza da raccontare al ritorno in patria.
Scaltra
messa in scena in ambasciata? Ce l’avevo.
Litigio con
iraniano? Ce l’avevo.
Partita di calcio
in stadio tedesco? Mi mancava. Dovevo rimediare.
Che poi, in
effetti, andare a vedere una partita di calcio in Germania ha un suo senso, un
suo significato. Se esiste un paese europeo dove la passione per il pallone è
persino più virale che in Italia, questo è proprio la Germania. Un paese con la
più alta concentrazione di scuole calcio. Un paese dove l’amore per questo
sport raggiunge gli stessi livelli d’imbarbarimento e rimbecillimento che
raggiunge da noi.
Non ci
credete? Vi faccio un esempio su tutti: il mio Buddy, Felix!
Arieccolo.
Sempre lui. Bello bello in una maniera assurda.
Felix, tra
le altre cose, aveva una passione malata per il calcio.
A lezione,
ogni lunedì, me lo vedevo venire incontro tutto sorrisi ed io mi cullavo
nell’illusione: “Ecco, lo sapevo, ha finalmente capito di essere follemente
innamorato di me!”
E invece no.
Lui, ogni
maledetto lunedì, mi metteva sotto il naso il quotidiano con i risultati di
tutti i campionati europei, ritenendo suo dovere di Buddy aggiornarmi circa l’andamento
della nostra serie A.
Sordo al mio
disinteresse, alle mie battute sarcastiche, ai miei velati insulti, Felix si
ostinò a portarmi ogni settimana il giornale zompettando e scodinzolando
orgoglioso. Come il più fedele ed esuberante dei cocker. Forse, a pensarci
adesso, avrei dovuto ringraziarlo grattandogli il capino od offrendogli dei
croccantini. Chissà che il mio destino non sarebbe stato diverso ed il nostro
rapporto non sarebbe finalmente sbocciato in tutte le sue gloriose potenzialità.
Ma non vi ho
ancora detto tutto, il bel Felix se ne andava in giro con la foto di Voeller,
all’epoca allenatore della nazionale germanica, appiccicata sul retro del cellulare.
Ebbene sì, io ero folle d’amore per un tizio col santino di Voeller attaccato
sul telefono.
Non guardatemi
così. Del resto, chi meglio di me potrebbe apprezzare la pazzia e le stranezze
altrui? Chi?
Ma torniamo
finalmente al giorno del ritorno in Italia dei miei genitori. Dopo averli
lasciati all’aeroporto, mi precipitai verso lo stadio. Secondo quanto
stabilito, i miei amici mi avrebbero aspettato alla fermata della metro per
darmi il biglietto ed entrare tutti assieme.
Arrivai con
un quarto d’ora di anticipo rispetto all’orario dell’appuntamento. Non c’era
nessuno, ma ovviamente non me ne preoccupai, mi misi seduta e attesi. Attesi.
Attesi. Attesi.
Nel
frattempo mi passarono davanti centinaia di energumeni tedeschi il cui aspetto
variava dal “poco rassicurante”, passando per il genere “ho rubato la pensione
alla mia povera nonna”, per finire con il “sono appena scappato dal braccio
della morte”.
Io cercai di
mantenere la calma, mi mimetizzai con la panchina e, pregando ogni dio
conosciuto, feci voto di rinuncia ai piaceri della carne in cambio della mia
salvezza.
Intanto, l’orario
dell’appuntamento giunse e passò.
E finalmente
qualche dubbio iniziò a cogliermi. Strisciando lungo le pareti raggiunsi la
cartina della metro. E ciò che era stato solo un dubbio divenne una certezza.
C’erano due
fermate dello stadio. Io, ovviamente, ero scesa a quella sbagliata.
Infilai la
mano in borsa, tirai fuori il cellulare. E scoprii che era spento.
Completamente scarico. I miei amichetti avevano cercato infruttuosamente di mettersi
in contatto con me, insultandomi in vari dialetti, lingue ed inflessioni.
Fui
costretta ad avventurarmi nuovamente sulla metro, ormai piena di simpatici
hooligan e gioiosi naziskin. Agitai i miei magici ricci biondi, feci lo
sguardo da cattiva (che mi riesce benissimo), e miracolosamente portai la mia
pellaccia a casa, o meglio allo stadio.
Alla fermata
giusta trovai i miei pazienti amici ad aspettarmi. Molto arrabbiati. A poco valsero scuse e
spiegazioni, del resto quando si ha appiccicata addosso l’infamia del ritardo
cronico, non ci sono scuse che tengano.
Comunque,
riuscimmo ad entrare allo stadio in orario e a vederci la partita.
Il match fu
terribilmente noioso. Il risultato finale un deludente 0 a 0. Io, colta da un
attacco di patriottismo ingiustificato, tifai persino un po’ per i nerazzurri.
Ma solo un po’, non esageriamo.
Ma il
ricordo migliore di tutta l’esperienza rimane l’ipercalorico panino con wurstel
comprato durante l’intervallo. Come
fanno i panini “dallo Zozzonen” in Germania, non li fanno in nessun altro
luogo.
Ok. Salvato tutti i capitoli mancanti, così domani allieto il viaggio in treno ^_^
RispondiEliminaBuona lettura e buon divertimento...spero O_o
EliminaIn proposito non ho dubbi!
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