L'inizio
di ogni giornata mi veniva annunciato dalla sveglia del mio vecchio cellulare, potente
quanto la sirena di una nave ed irritante quanto l'antifurto di un'auto.
Dopo averla lasciata suonare più volte, mi decidevo a sgusciare da sotto il
piumone mossa a pietà dalle suppliche della mia iberica vicina Lola: "Pancraziaaaaaaaaaaa bitteeeeeeeeeee"
Avvolta in un sexy pigiamone da Teletubbies strisciavo ad occhi chiusi fino alla
cucina e mettevo la moca sul fuoco. Il profumato caffè italiano si univa biblicamente con sublimi biscotti germanici, sulla cui confezione faceva bella mostra di sé l'annuncio "+20% butter!". C'è poco da fare, checché se ne dica, i tedeschi conoscono la caducità della vita e la necessità di godersela fino in fondo.
In
perenne ritardo, correvo a prendere l'autobus per dare inizio alla
transumanza che mi avrebbe portato dallo studentato all'ospedale.
Più di un'ora tra bus, U-bahn e poi ancora bus.
Mezzi pubblici puntualissimi, a differenza di quelli italiani. Mezzi pubblici pieni di
adolescenti brufolosi, rumorosi e molesti, proprio come quelli italiani. Perché i ragazzini sono una iattura a qualunque latitudine li si incontri.
Finalmente giunta alla clinica universitaria Benjamin Franklin mi tuffavo nell'
Humanmedizin, scoprendo ogni giorno nuove differenze tra la facoltà berlinese e
quella sabauda.
Dal punto di vista prettamente didattico, Torino non ha niente da invidiare a
Berlino, anzi.
Ma per quanto riguarda la qualità della vita degli studenti, in Germania stanno
su un altro pianeta. Un pianeta più evoluto e civile.
A Berlino molti studenti di medicina abbelliscono il proprio camice con foulard e
spillette. Non parlo di qualcosa di eccessivo o ridicolo ma solo di un tocco di gradevole colore, adatto
alla giovane età ma mai in contrasto con la serietà richiesta dal
luogo e dal ruolo.
A Torino, se fai una cosa del genere, nella migliore delle ipotesi uno
specializzando ti cazzia, nella peggiore il primario stesso ti umilia davanti
al maggior numero di persone possibile. Perché è risaputo che l'esposizione al pubblico ludibrio è sempre un buon modo per affermare il proprio potere e far godere il proprio ego più sadico. E così, in giro per i corridoi delle Molinette, s'incontrano ventenni imberbi che giocano a fare i grandi, esibendo orgogliosi tristi cravatte sotto i camici. Che poi se c'è un indumento antigienico è proprio la cravatta!
Oppure giovani ragazze che dimostrano almeno 20 anni di più della loro età.
Nel nostro paese troppo spesso ci si fa ingannare dalla forma e si dimentica il contenuto. Mentre i tedeschi, per altri versi formalissimi, in alcuni casi sanno dimostrarsi saggi, lungimiranti e niente affatto ottusi, badando molto più al contenuto che alla forma. Solo in alcuni casi, però.
A Berlino gli studenti hanno a disposizione un guardaroba con tanto di gentile
e paciosa guardarobiera.
Non sto scherzando. C'è una signora con il suo grembiulino che ti aspetta dietro ad un bancone, per appenderti la giacchetta o prendere in custodia la tua borsa. Come in discoteca. Anzi meglio, come all'Opera. Che meravigliosa sciccheria, che incomparabile comodità.
A Torino, se sei fortunato puoi depositare le tue cose in un armadietto ma, il
più delle volte, devi abbandonare borse e giacconi sulle panche degli
spogliatoi di reparto. Scegliendo di fare speranzoso affidamento sull'onestà degli altri o d'imbottirti il
camice con portafogli, cellulare, chiavi, e chi più ne ha più ne metta. Con un risultato finale scomodo quanto ridicolo.
A Berlino gli studenti spesso mangiano a lezione davanti ai professori. Non
parlo di veri e propri pasti, ovviamente, ma di snack e bibite necessari per
non crollare dopo aver corso da una lezione all'altra e da un reparto all'altro,
senza aver avuto il tempo di andare in mensa.
A Torino mi è capitato di assistere ad una scenata per una bottiglietta
d'acqua:
"Le
sembra educato bere mentre io spiego?"
"Ma avevo sete"
"E allora? Le sembra il caso???"
"Ma ci sono 30 gradi in quest'aula"
"Voi giovani non sapete cos'è il rispetto!"
A Berlino una studentessa veniva a lezione con il bimbo nel passeggino e
nessuno, tranne me, sembrava trovare la cosa degna di nota.
Lei era iscritta a medicina ma aveva anche un figlio da allattare, quindi lo
portava con sé e, le rare volte che il piccolo cominciava a frignare, usciva
dall'aula rapida, senza disturbare nessuno.
A Torino: la gravidanza durante il corso di laurea? Fantascienza.
Durante la specializzazione? Mal tollerata.
Durante i primi anni di lavoro? Ma scherziamo?
Sballottata in questo mondo così diverso e migliore, rientravo allo studentato con l'ansia al pensiero di dover tornare un giorno alla base sabauda.
Per fortuna ogni sera, prima di cena, a tirarmi su ci pensava Fumiki che, sorseggiando un tè fumante, cercava di farmi ragionare, vedere le cose obiettivamente e regalarmi un poco di serenità.
Fumiki chi?
Ora ve lo spiego.
Continua...
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RispondiEliminaSiamo indietro anni luce e lo saremo sempre.
---Alex
Non so se lo saremo sempre ma per ora lo siamo, eccome.
EliminaPancrazia, ma a questo punto neanche volendo posso esimermi dal chiederti: ma chi te l'ha fatto fare di tornare in Italia? ;-) Ciao E.
RispondiEliminaOps! Scusami se ti rispondo solo adesso.
EliminaChi me l'ha fatto fare? Bella domanda. Purtroppo non c'erano le condizioni per rimanere. Sì, col senno di poi, avrei potuto comunque provarci. Ma ne sarebbe nata un'epica guerra familiare che ai tempi non mi sentii d'intraprendere.
Tornassi indietro non farei la stessa scelta, ma ormai è inutile piangere sul latte versato. O meglio, non versato.